mercoledì 29 giugno 2005








 

Stavo pensando a cosa scrivere, non mi veniva niente in mente, ma niente, niente e cosí iniziai a ricordarmi della Luigia, quella matta che girava sempre per Rozzano, sembrava una bambina, benché a occhio e croce avrebbe potuto avere 40 anni, forse ce li aveva.


Mi ricordo di quando fermava ogni persona per strada, facendo le domande piú disparate o dicendo cose senza senso, se conoscevi Pippo o Raffa, se avevi visto questo o quello, era sempre li, nel cortile della chiesa a giocare a pallone con le bambine o a litigare con i ragazzini che la pigliavano in giro, sempre con le scarpe da tennis e le calze corte, con la gonna, a scacchi generalmente, quei suoi maglioni aperti, quelle borsette, ogni giorno una diversa, e con quei suoi sacchettini della spesa che chissá cosa ci teneva dentro.


Anche se qualche volta rompeva le balle a piú d' uno, si faceva voler bene, il suo mondo erano i ragazzini fra i quali circolavano un mucchio di voci sul suo conto; c' era chi diceva che era diventata matta perché gli era morto un figlio, chi diceva che era matta fin dalla nascita, chi diceva che era matta perché i genitori la picchiavano, chi invece che per il fatto di essere orfana, ecc...


Nessuno peró sapeva la veritá, ma Luigia stava sempre li a correre, a parlare da sola, a litigare e insultare con le sue ingenue parolacce.


Nei giorni in cui non la vedevi, si sentiva qualcosa che mancava. La Luigia, tuti la conoscevano, tutti la salutavano, il panettiere, il lattaio, il bibliotecario, persino il piú delinquente dei delinquenti, no, forse no, esagero, ma comunque tutti la salutavano e lei tutti salutava.


Ogni volta che scendevo giu al giaridno della chiesa col mio cane, arrivava lei, sacchettino in mano, la borsetta appesa al collo e ogni volta mi domandava come si chiamava il cane e iniziava nel suo milanese:


" Vé, cane, sta li né, belo, belo, sta li a cuccia"


Il cane si spaventava e abbaiava, lei allora cominciava ad urlare:


"Si, si belo, sta cito vé"


Gli dava una foccaccia o una caramella, quando Nigacheo si calmava mi domandava quanti anni aveva e lo acarrezzava, gli dava un' altra caramella e poi mi diceva:


"Don Tarcisio, meno male che se ne va quello li, é un antipatico, un deficiente"


"Perché?" chiedevo io facendomi la gnorri, sapevo benissimo perché ce l' aveva su con Don Tarcisio, ogni volta mi racontava la stessa storia:


"L' é uno scemo, l' altro ieri m' ha sgridato e mi ha dato un calcio"


"E tu cosa gli hai detto?"


"Io gli ho detto, vaffanculo Don Tarcisio!! E lui mi ha tirato l' uregia"


Quel Don Tarcisio, a nessuno era simpatico, il prete piú maledetto che io abbia mai visto.


Chi lo sopportava? Solo dio. A me, mi riusciva addirittura disgustoso, lo odiavo, altro che il pretino buono, paffutello e santarello tipo quello de "La casa nella prateria", questo era una carogna!   Alto, magro, con quella barba rossa che gli copriva gran parte della faccia arida, era violento, insensibile, tirchio, scommetto che era lui che svuotava le offerte ai poverelli.


No faceva altro che menare i ragazzini, tirava loro le scarpe in testa o tremendi calci nel culo, espropriaba loro, le biciclette e non era raro che qualche bambino perdesse sangue dal naso per colpa sua, quel prete era una bestia.


Lo odiai ancora di piú quel pomeriggio in cui andammo con Miguelito al cortile della chiesa, Miguelito stava ficcanasando nel camion della carta straccia e arrivó Don Tarcisio:


"Digli al tuo amico di scendere da li"


" Perché proprio io?" - chiesi


"Perché se no ti spacco la faccia!"


Io rimasi stupefatta


"Ma son parole da prete?"


Appena ebbi finito la frase, si avvicinó e prendendomi per l' orecchio mi disse:


"Va a giocare da un' altra parte"


Salí in macchina e se ne andó, io ero furibonda, neanche il tempo di reagire, tutta la rabbia mi stava dentro, avevo voglia di fare la teppista e tirare  sassi contro i vetri della chiesa, mentre Miguel cercava di calmarmi.


Cosí non mi fu difficile crederci quando Luigia mi raccontava che Don Tarcisio l' aveva picchiata:


"M' ha dato un calcio nel cul" - diceva e poi si allontanava, blaterando in dialetto e saltellando di qua e di la.



martedì 28 giugno 2005


Senza respiro      scritto a  marzo 25 2003           

 


(Morelia Cancino Sáez. estudiante de periodismo  - Al mio piccolo Inti di 4 anni )

 Esci fuori, guarda il cielo, acutizza l' udito, ispira profondamente, guardati in giro, pensa ai tuoi esseri amati, nei bambini che ti stanno intorno, negli anziani che conoscí, nei tuoi parenti e amici, pensa alla signora del negozio vicino a casa tua, allo sconosciuto che ti siede accanto quando viaggi in tram, alle case, palazzi, parchi e monumenti che giorno dopo giorno guardi senza vederli, dato che sono impressi nella tua memoria, pensa a cio che ami, alle manifestación culturali e artistiche che ti danno identitá, senti profondamente cio che vivi, cose normali, di ogni giorno

 Esci fuori e guarda la cittá, la tua cittá, immagina che quel silenzio o quel rumore di movimento umano sia rimpiazzato da un persistente, assordante e intimidante frastuono nel cielo, immagina che non saprai dove cadrá quella bomba.

 Vicino a te? Alla tua casa, quella del tuo vicino, nel tuo luogo di lavoro, in qualche edificio ministeriale, quei giganti grigi davanti ai quali passi senza farci caso, sulla casa o sul quartiere dei tuoi amici? Dove e in quanto tempo raggiungerá il suo obbiettivo distruggendo e incendiando le pareti, annientando forse a quelle persone che conosci? Quanto tempo impiegherai a saperlo?

 Questa situazione si ripete, una e un’ altra volta ancora, incessantemente per ore, giornate intere. Non sai che fare, solo abbracci fortemente chi ti accompagna, l’ abbracci con la speranza di dargli un minimo di tranquillitá, di pace, quella pace che nessuno sa quando tornerá, l’ abbracci cercando di fargli capire che nelle tue braccia non ci sará la morte, ne il dolore, l’ abbracci ancor piú forte, quando pensi che chissá sia l’ ultimo abbraccio, che chissá non la vedrai piú sorridere e intenti far fuggire quei pensieri, cerchi di nascondere quell’ angoscia e piangi anche se non sai a cosa serva piangere.

 Immagina che l’ aria che respiri sia sostituita da tossico fumo, irrespirabile, che non ti permette di vedere un metro piú in la del tuo corpo, che la tua bella e luminosa casetta che con tanto zelo hai decorato diventi scura, umida, che tutto quel odore di polvere, di fumo, che quel luogo che ti accoglie, potrebbe trasformarsi in una trappola mortale e che anche uscendone  potresti trovare la morte, che non sai quanto durerá l’ acqua, che il pane che hai messo da parte diverrá duro, che chissá per quanti giorni non avrai un luogo dove riscaldare qualcosa, che quei caffé del pomeriggio non innonderanno il tuo corpo per giorni, che le coperte che hai sono insufficienti, che sentirai freddo, che presto qualcuno inizierá a tossire, ad ammalarsi, che gli salirá la febbre e non avrai niente per calmarla.

 Pensa a quei luoghi che hai frequentato e frequenti, quei luoghi che abitarono la tua infanzia, la tua gioventú, la tua vita intera, passata e presente. Li vedi ? Immaginali, per terra, come un mucchio di macerie, pezzi di muro insanguinati schiacciando qualcuno. Ferraglie, resti di mobili, pietre, soffocando una piccola voce che chiede aiuto che grida appena, appena, nella speranza che qualcuno ascolti, che tu ascolti e ti avvicini assieme ad altri, che inizi a scavare tra quei pezzi di cemento macerato che non finiscono mai, che non ti permettono di arrivare a quella voce e inoltre, togliendo un macigno, temi di provocare un ulteriore frana.

 Pensa a quella musica che tanto ti piace, quel complesso dell’ addolescenza, a quell’ opera teatrale che hai visto, a quella scultura che adornava un parco, a quei tesori che lasciarono i tuoi antenati, a quella chiesa o palazzo che ti sorprendeva da quanto antico era, agli artisti che crearono e che rappresentano un sentire comune. Dove rimarranno le loro opere, che sucederá a loro ? Ti regalarono gioia, piacere, un piacere duraturo che eri sicuro avrebbero conosciuto i tuoi discendenti e tutto ció sparirá o sará sfigurato dalla forza della violenza cosí opposta alla forza della creazione e della fantasia.

 Prendi quell’ albun di fotografie che hai nel cassetto o nella biblioteca, vedi li la tua infanzia, quella dei tuoi genitori, i tuoi momenti importanti e belli, il sorriso di chi ami. Osserva ora i volti di chi ti stanno intorno, se hai la fortuna di convivere con dei bimbi, guarda i loro occhi brillanti, la loro voglia di giocare e di ridere, la loro voglia (e la tua) di sentire  una calda mano accarezzandoli le guancie o i capelli, guarda e respira con tutto il tuo spirito la loro vitalitá, la loro trasparenza, la loro luce, aspira la sicurezza del fatto che gli ami e che ti amano, quella sicurezza che da felicitá

 Immagina ora uno stesso bimbo in preda alla paura, all’ insicurezza, che sperimenta il presentimento di una morte che si avvicina diretta o indirettamente a segnarli per sempre la vita, ti domandi se tornerai ad avere la fortuna di essere testimone della sua vivace essenza, ti domandi se riceverai di nuovo il regalo del suo sorriso e delle sue parole a volte folli, spiegando un mondo interno che non sempre capisci a causa delle tue limitanti adulte, non sai quante altre volte potrai stringerlo con quel affeto che affiora incontenibilmente dal tuo essere e dal suo.

 Nel tuo pensiero si attraversa come un incubo la percezione di cio che potrebbero essere i prossimi minuti, le prossime ore, su quel corpo, sulla sua anima. L’ orrore che cadrá su di lui, sulle sue manine, ha davanti ai suoi occhi il subito impatto di una bomba, di una pallottola, del fuoco, delle ferite, delle ustioni, delle amputazioni, delle urla, del sangue, della morte, del pianto, del terrore, della angoscia di non capire perché e chi causa tutto ció, di domandarsi nella sua infantile mente che cosa ha fatto per ricevere simile castigo, che in fondo non si é comportato tanto male, che non era cosí grave non mangiare tutto, che non era cosí cattivo al rifiutarsi di lavarsi le mani, che non ha fatto niente di cosí dispettoso per essere trattato a quel modo. Sai che dopo, niente tornerá ad essere come prima, tutto sará distruzione

 Esci fuori e guarda tutta la tua vita, ció che non é in questo istante e che se fosse come la descrizione e come ció che hai immaginato, ti domanderesti mille volte, come quel bimbo, cos’ é che hai fatto, che tu non hai mai fatto del male a nessuno, che non sei stato tu a pianificare l’ attentato alle Torri Gemelle, che prima non odiavi nessuno, e ti dirai che degli interessi economici che muovono le guerre solo riceverai fame e dolore, che nessuno ti sta liberando dall’ oppressione, anzi, che ti stanno opprimendo con una violenza inusitata alla quale non potrai mai far fronte.

 Guarda il telegiornale, tutti gli analisi geopolitici, la cinematografia del cielo di Bagdad, illuminato dai missili, dei palazzi in fiamme e avrai la certeza che sotto tutto quel dispiegarsi di prepotenza ci sono molti iracheni che non stanno immaginando i successi ma bensí li stanno terribilmente vivendo.

 Chi pagherá per tutto ció? Non di certo chi provoca la guerra, loro si sentiranno soddisfatti per i loro crimini e non ammetteranno mai la loro vigliaccheria, gonfieranno il petto condecorato e incravattato, ventileranno la loro vittoria e le loro bandiere dai loro uffici, guardando le camere e i telespettatori con le loro espressioni ciniche e ingannevoli, dopo di che, torneranno nelle loro case, di sicuro a calcolare i loro guadagni e i lussi che sentono di meritarsi a pieno titolo.

 Esisterá un giorno il modo contundente di rinfacciargli le loro irresponsabilitá ?  Cosa faranno i governanti e le nazioni al riguardo? In cosa consisterá il potere di vetazione e che altro puo fare l’ Organizzazione di Nazioni Unite  ?

 pubblicato su www.granvalparaiso.cl  www.noalaguerra.cl in spagnolo e, prossimamente su www.mapuche.it



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 



 

lunedì 20 giugno 2005








   Ho finito il libro, domandomi: come potrá andare avanti la mia vita ora che non leggo piú le sue pagine? Sono rimasta orfana di un sogno.


mercoledì 15 giugno 2005

sabato 11 giugno 2005

Ursula Vernon  (Sir Bunny vs. The Wockwurm)


Sir Bunny vs. The Wockwurm









 Finalmente son riuscita a riprendere le letture, ero rimasta bloccata da mesi, tanti che non so neanche quanti, che sciock, ero nel mezzo del secondo volume di un libro che mi rifiutai di leggere per anni, avvolta nelle ricchissime descrizioni di mondi, colori, radici lontane ma similari ai mondi che ho fortuna di conoscere. ....Pag 399, bene, mi manca poco e inizio il terzo volume .... pag 400...pag 365...366...367.... maledetto libro mal compaginato...pag 368...e cosí via di nuovo sino ad arrivare alla 400...e poi d' un salto alla 441.....nooooooo...... aiuto.... son rimasta traumatizzata tutto sto tempo, non riuscivo a prendere nessun' altro libro, ogni qualvolta cercavo uno nuovo nella biblioteca, l' altro mi chiamava : "ricordati che mi devi finire". Dopo aver telefonato a destra e manca esigendo mi cambiassero il volume, esigendo che si rispettasse lo scambio denaro-prodotto mi son rassegnata e finalmente l ho ricomprato, ovviamente, prima di pagarlo ho controllato tutte le pagine, che fossero nella sequenza giusta, mentre il commesso mi guardava un po incuriosito e io mi sentivo come una lunatica. Finito il secondo volume ho iniziato il terzo, avanzo nell avvincente narrazione con la latente paura, la minacciosa possibilitá di ritrovarmi in qualche punto con 50 pagine, avventure o personaggi in meno.