Fu piú o meno cosí.
Nomi di fiori
"tu cosa scegli?"
"Nontiscordardime"
"Esiste?"
"Si"
"Va bene"
Pensai molto segretamente,
temendo che il mio sguardo
denunciasse i pensieri.
"Certo che non ti scorderó mai"
Mai. Perché non ebbi il coraggio
di gridarlo fuori come dentro?
Nomi di fiori, fiore giallo,
pistillo giallo, petali bianchi,
bianche ciglia.
Con i miei dispetti
esprimevo la gioia
di correre tra i corridoi
che odoravano di etere,
di ridere a piú non posso
inseguendoci in quei giardini
di pulcre lenzuola
e mettallici giacigli.
Sporco bianco ti dicevo
mentre imitavo l' azione
di pulirmi le scarpe
sul tappeto invisibile
e io venivo dal por-cile
a leggere dalle tue labbra assenti,
il significato della parola bonario.
Intervalli ludici
in quelle bizzarre vacanze
abituali per noi,
sfortunate per gli altri.
Ero felice, eri felice
Racchiusi
in pesanti e bianche corazze
che ci dotavano di forza.
Fu un estate senza sole ne mare,
un estate in cui le nostre escursioni
avvenivano tra cuori e picche.
Pomeriggi nell' isola del silenzio
che solo i passi
di donne vestite di bianco
e le nostre spensierate,
sacrileghe risate
frantumavamo.
Era un paese di tristezza
agli occhi di chi vantava
e percepiva in se la perfezione.
Conoscevamo di questo
ogni angolo scuro,
abitato da oggetti
che somigliavano
a strumenti di tortura
e dei quali solo noi
capivamo l' uso.
Scoprivamo e nascondevamo
tesori di carta,
arrivando ad essi,
dopo aver tracciato sentieri
seminati di messaggi in codice.
Era un paese di balocchi,
per noi che,
durante breve tempo,
c' incotravamo e accompagnavamo
nella normalitá di un anomalía.
Vi erano in quel regno
sacerdotesse profumate di maternitá,
regine e re che camminavano
eretti dalle loro corone
i cui diamanti,
trafiggevano le tempie.
Sentivamo li,
i suoni e le vibrazioni
che annunciavano la libertá del corpo
o l' inizio di una nuova prigionia.
Ma io ti contemplavo rapita,
io, coi miei capelli neri
tu, coi tuoi capelli di biada,
tanto diverso da me,
tanto diversa da te.
Ancor oggi,
mi affaccio alle finestre,
incoraggiata dall' alto
grido il tuo nome,
raggiante nello scoprire
il tuo sguardo stupefatto
e codardamente mi contengo
in un espansivo e fugace saluto.
Ti pensai, ti amai,
Come potevo e
come potei
intuire quel destino
insospettato?
Maledico l' acciaio,
il grigio dell' asfalto che ha rubato
il fucsia della tue veste,
le onde dorate dei tuoi capelli
che si riflettono nella sabbia
di un ritratto giunto a me,
Ripudio il grigio delle lamiere
che hanno distrutto le ocri
pareti dell antico palazzo
che ci ospitó.
Dove, la rassegnazione?
Se i ricordi
che mi portavano divertita
a ridere da sola,
come un matto rapito
nel suo mondo perduto,
ora innondano di rimpianto
e malinconia lo sguardo
che ti cerca fantaseando
con fantasmi, paradiso
e macchine del tempo?
Maledizone Guglielmo Ti amo. |